Lo sapevamo che sarebbe successo, ce lo avevano preannunciato da tempo.
Non sto parlando del terribile virus che sta destabilizzando il globo, appianando anche le presunte differenze tra noi umani. E non mi riferisco nemmeno all’imposizione dei dazi americani decisi da Donald Trump su alcuni prodotti italiani d’eccellenza.
Semplicemente, o se preferite, modestamente, vi racconto brevemente dello spostamento “fisico”di un reparto produttivo all’interno di una azienda per collocarlo in un’area più consona.
Definire semplice e modesto il tutto è cosa piuttosto ardita: facile adesso che la faccenda è compiuta, operazione ostica e mal sopportata durante l’attività di trasloco.
Spostare l’intero reparto “lavorazioni macchine utensili”, significa spostare macchinari, attrezzature, armadi e scaffali, computer e sistemi CNC… senza smettere di farli produrre!
Lo sapevamo che sarebbe successo. Ed è successo. E ci siamo anche riusciti.
“Bene, bravi!”, ci ha detto il titolare. Niente di più. In fabbrica è più che sufficiente.
Ci siamo riusciti. Quanti eravamo? Non ridete, eravamo in due: io e il mio collega.
In due abbiamo spostato un intero reparto produttivo – nota bene – senza dimenticare nulla. Proprio nulla?
Risposta affermativa, per quanto riguarda il sottoscritto, ma non così per il collega senegalese: “Manca ancora una cosa!”, mi dice. Mai l’avrei immaginato: “Che cosa?”
“Ci siamo dimenticati il crocifisso!”.
Ed è proprio andata così. Presi dall’immane compito del trasloco, abbiamo dimenticato l’immagine dell’uomo condannato a soffrire e morire.
In un tempo in cui qualcuno sbandiera la sofferenza crocifissa per affermare la propria identità a difesa della propria cultura, eccetera eccetera eccetera, il simpatico collega musulmano mi ha opportunamente fatto presente che occorre non solo sbrigarsi a produrre, ma poter gettare un occhio, ogni tanto, a chi soffre e muore.
Forse mi riesce meglio spostare macchinari e scaffali…
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