Le primavere arabe
Le agitazioni e le rivolte scoppiate a partire dal 2010 in alcuni paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, come Tunisia, Libia, Siria ed Egitto sono state chiamate “primavere arabe” per richiamare il risveglio “democratico” delle popolazioni di questi paesi da decenni soggette al giogo di dittatori e di governi autoritari. Utilizzando questa definizione bisogna ricordarsi che ogni teatro statale in cui si verificarono tali proteste, pur avendo caratteristiche comuni, fu diverso dagli altri a causa della diversa storia e dell’evoluzione socio-politica tra paese e paese.
Le cause principali di queste rivoluzioni vanno ricercate nella volontà di una parte della popolazione di questi paesi di rivendicare maggiori libertà individuali, protestare contro la violazione dei diritti umani, combattere la corruzione dei governi e dei funzionari pubblici, richiedere interventi a favore degli strati meno abbienti della popolazione, sempre in crescente aumento a causa del continuo aumentare dei prezzi dei generi alimentari e dei beni di prima necessità. Soprattutto quest’ultimo punto rende evidente che tali rivolte non iniziarono solamente a causa di motivazioni politiche, ma anche per ragioni economiche. La maggioranza della popolazione di questi paesi non era oppressa solamente dei regimi fortemente autoritari, ma era anche attanagliata dalla fame e dalla disoccupazione.
La primavera araba tunisina
Le proteste ebbero origine in Tunisia. Questo paese nordafricano aveva ottenuto l’indipendenza dalla Francia il 20 marzo del 1956, e già nel 1957 si instaurò un regime repubblicano, dopo l’abolizione della monarchia. Il primo presidente tunisino, Habib Bourguiba, governò il paese dal 1957 al 1987, anno in cui venne deposto da Zine el-Abidine Ben Ali, con un “colpo di stato medico” (il presidente Bourguiba soffriva di cattiva salute dovuta all’avanzata età). Ben Ali mantenne il potere fino al 2011, anno in cui scoppiarono le grandi rivolte che in quel paese assunsero il nome di “Rivoluzione dei Gelsomini” (il gelsomino è il simbolo della Tunisia).
Nel dicembre del 2010 l’attivista per i diritti umani tunisino Mohamed Bouazizi si diede fuoco come segno di protesta contro i maltrattamenti perpetrati dalle forze di polizia. Il gesto di Bouazizi fu l’evento scatenante della crisi in Tunisia. A seguito di questo episodio tutto il paese fu travolto da movimenti di protesta, che videro coinvolti studenti e disoccupati insieme. Le manifestazioni e le rivolte proseguirono nonostante i tentativi di repressione da parte della polizia e un tentativo di rimpasto del governo a fine 2011.
In questo clima incerto Ben Ali dichiarò in diretta televisiva che si sarebbe impegnato a lasciare il paese nel 2014, insieme ad altre promesse, come l’abolizione della censura per la stampa. Il discorso non servì ad addolcire gli animi esasperati e quella sera stessa venne dichiarato lo stato d’emergenza e il coprifuoco in tutta la Tunisia, nel tentativo di disperdere i dimostranti. Nelle ore successive tutto avvenne con estrema rapidità, Ben Ali diede le dimissioni e al suo posto venne insediato il primo ministro Ghannushi. Ma già poche settimane dopo, nel febbraio 2012, la popolazione scese nuovamente a manifestare per protestare contro il governo provvisorio.
La primavera araba tunisina oltre ad aver portato alle dimissioni del capo dello Stato, che scappò in Arabia Saudita, fu la miccia che fece diffondere le rivolte anche in altri paesi dell’area. Infatti insieme al presidente tunisino ci furono altri tre leader arabi a cadere quell’anno: Hosni Mubarak in Egitto, Ali Abdullah Saleh in Yemen e Mu’ammar Gheddafi in Libia.
La Costituzione del 2014
I recenti sviluppi in Tunisia sono in qualche modo legati alle rivolte del 2011. Da allora il paese ha cercato di far fronte alle richieste economico-sociali della popolazione. Nel corso di questi dieci anni il paese ha intrapreso un processo di democratizzazione che ha portato a riconoscere la rivolta tunisina come l’unica di successo. Dopo le dimissioni di Ben Ali, nel 2014 fu emanata la nuova costituzione del paese; quest’ultima è figlia di un compromesso tra l’allora partito di maggioranza Ennahda (partito islamico) e il resto della opposizione. Questa prevede un esecutivo bicefalo dando al presidente della repubblica potere verso il capo di governo, ma soprattutto è una costituzione rigida la quale non prevede modifiche al suo testo né alla forma di governo.
Gli eventi di fine luglio
La costituzione ha giocato un ruolo centrale nelle vicissitudini delle ultime settimane; il presidente Kaïs Saïed ha chiesto le dimissioni del primo ministro, Hichem Mechichi, ha licenziato i ministri della Difesa e della Giustizia ed ha bloccato il lavoro parlamentare. L’azione del presidente è stata giustificata dalle nuove rivolte che hanno colpito la Tunisia, causate dalla grave crisi economico-sanitaria che ha colpito il paese dall’inizio della pandemia. Questa colpì gravemente il paese, il quale entrò in una profonda crisi economica ma soprattutto sanitaria: ad oggi la Tunisia ha vaccinato non più dell’8% della popolazione. Questa crisi ha portato alla migrazione di molti cittadini verso la vicina Europa e a forti tensioni interne. Negli ultimi due anni il paese ha cambiato tre governi, fino a raggiungere il punto di rottura che abbiamo osservato due settimane fa. Saïed decise di interrompere il lavoro parlamentare, licenziare due ministri, Difesa e Giustizia e chiedere le dimissioni del primo ministro Mechichi, appellandosi all’articolo 80 della costituzione. L’utilizzo personalizzato di questo articolo sta facendo crescere in occidente la paura di un ritorno ad una dittatura in Tunisia. Questa paura potrebbe essere annullata dalla natura stessa della costituzione la quale non permetterebbe al presidente della Repubblica di assumere i pieni poteri. La speranza però, affinché i frutti delle rivolte del 2011 e del processo democratico partito da allora non vadano sprecati, è che il presidente sblocchi il parlamento affinché questo possa tornare a lavorare e nomini un nuovo governo. Più rapidamente questo verrà fatto prima il popolo tunisino potrà essere aiutato.
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