I momenti chiave della storia del matrimonio in Italia
Dalla fine del dodicesimo fino alla metà del diciannovesimo secolo in Italia (o, meglio, nella penisola e nelle isole italiane, visto che l’Italia non era ancora uno Stato unitario come lo conosciamo oggi) si è praticato solo il matrimonio religioso, il quale era regolato dalle norme della Chiesa cattolica, che lo considerava un sacramento e lo disciplinava secondo il diritto canonico.
Il matrimonio civile viene introdotto in Italia nel 1865 con il primo Codice dello Stato postunitario. Nato come istituzione deliberatamente laica, il matrimonio-contratto civile si presenta alternativo e competitivo rispetto al matrimonio-sacramento della tradizione teologico/giuridica della Chiesa cattolica. Tuttavia l’istituto assume e mantiene a lungo le caratteristiche del matrimonio canonico: indissolubilità, monogamia, eterosessualità.
L’evoluzione del matrimonio civile rappresenta invero la storia della sua emancipazione dal modello matrimoniale cristiano-cattolico e prima tappa fondamentale è l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 e il principio di laicità dello Stato. Con la vittoria del “no” in occasione del referendum (abrogativo) sul divorzio del 1974, il matrimonio civile abbandona il dogma dell’indissolubilità, considerato un retaggio della concezione sacramentale del vincolo coniugale. Le più recenti riforme del divorzio «facile» (2014) e «breve» (2015) sembrano attenuare anche il principio della stabilità della relazione coniugale. Nel 2016 il riconoscimento delle unioni civili omosessuali e delle convivenze sancisce rispettivamente il superamento dell’eterosessualità come unico paradigma delle relazioni affettive giuridicamente riconosciute e la crisi del matrimonio stesso come modello esclusivo della coniugalità.
Dati che parlano chiaro
Analizzando i dati Istat relativi ai matrimoni in Italia dell’ultimo secolo e mezzo, appaiono chiare tre tendenze: 1) l’aumento dei matrimoni civili (e viceversa la diminuzione di quelli religiosi), 2) la diminuzione del numero complessivo dei matrimoni celebrati ogni anno e delle coppie sposate con figli e 3) l’aumento dell’età media degli sposi.
Fino agli anni ’60 del Novecento gli italiani hanno continuato a sposarsi quasi esclusivamente in Chiesa (98% sul totale dei matrimoni), ma dalla metà del decennio successivo la rotta è radicalmente cambiata. Passando per il 17% nel 1990, negli ultimi anni il matrimonio civile rappresenta stabilmente i due terzi delle celebrazioni complessive. È da sottolineare però la differenza fra le due macroregioni italiane: se al Nord i matrimoni con rito civile sono due su tre, al Sud sono circa uno su tre.
In merito alle coppie con figli non sposate, queste erano solo 1,3% fino agli anni ’90. L’aumento vertiginoso, infatti, si è avuto solo a partire dal nuovo millennio e attualmente superano il 10%.
Rispetto all’anno precedente, nel 2020 la pandemia da Covid-19 ha dimezzato il numero dei matrimoni, probabilmente rimandati ad un periodo migliore, ma la ripresa è stata pressoché immediata da questo punto di vista.
Attualmente in Italia il quoziente di nuzialità, ovvero il numero di matrimoni per mille abitanti, è nelle zone più basse della graduatoria europea, ma tutto sommato vicino a Paesi come Francia, Spagna e Portogallo. Ci si sposa invece di più in Germania, Irlanda, Regno Unito.
Gli stessi effetti si sono avuti per le unioni civili omosessuali, che avevano registrato un boom di oltre 4000 celebrazioni l’anno successivo all’approvazione della legge di riconoscimento.
L’età media degli sposi nel lontano 1871 era di 27 anni per lui e 22 e mezzo per lei. Un secolo dopo un aumento significativo coinvolgeva solo le spose, 24 anni. Oggigiorno in media gli uomini celebrano le nozze a 34 anni e le donne a 32. Per le unioni civili tra persone dello stesso sesso, invece, l’età si sta abbassando; ciò si spiega notando che le coppie che si sono potute unire subito dopo l’entrata in vigore della relativa legge erano legate già da tempo.
I molteplici motivi di questi trend
Si può addurre alla progressiva secolarizzazione della società il principale motivo per cui i matrimoni civili si sostituiscono sempre più a quelli con rito religioso. Diverse, invece, sono le motivazioni che portano tante coppie di oggi a non sposarsi del tutto o a rimandare le nozze almeno oltre i trent’anni d’età.
Fra le ragioni più evidenti troviamo quelle di carattere economico: la crescita esponenziale avutasi relativamente al costo della vita fa sì che molte coppie non possano permettersi i costi della celebrazione del matrimonio, che sia per pochi intimi o in grande stile. Inoltre, molte coppie che pur potrebbero affrontare le spese non lo vogliano fare, preferendo investire denaro in qualcosa che nel futuro possa risultare più conveniente.
Sì, perché la precarietà è paradossalmente la più stabile delle condizioni della società odierna ed è ciò che limita i progetti per l’avvenire e, di conseguenza, ritarda di molto l’uscita dalla famiglia d’origine e rende appetibile la strada della convivenza, dal momento che il matrimonio non è più la conditio sine qua non per diventare genitori. In molti casi, inoltre, il matrimonio non viene concepito più come un atto comunitario di rilevanza sociale, ma come un vero e proprio adempimento burocratico di cui, sostanzialmente, si può fare a meno.
Ma non è tutto; almeno altre due questioni meritano di essere considerate.
La prima è quella fiscale: sommare redditi alti fra loro è spesso sconveniente poiché le famiglie ne risultano penalizzate e oltretutto dalle stesse famiglie degli eventuali sposi non arrivano più aiuti come nel passato per acquistare beni come, ad esempio, la prima casa.
La seconda ha a che fare con la libertà e la sentimentalità: sposarsi vuol dire legarsi in modo profondo a un’altra persona, il ché necessariamente provoca un cambiamento delle proprie abitudini per dedicare tempo all’altro. Anche la più facile e veloce formula di divorzio non toglierà facilmente le difficoltà emotive che lo spezzare questo legame comporta tanto ai coniugi quanto ai loro figli.
Sembrerebbe, dunque, che le problematiche per una giovane coppia, più che legate alla sessualità e all’affettività, siano da riscontrarsi nelle trasformazioni etiche, sociali ed economiche degli ultimi decenni.
Gentile sig. Nudo,
credo che nel computo dei matrimoni civili occorra distinguere quando la scelta sia di prima intenzione, ossia quando è praticabile il matrimonio religioso e non viene scelto e quando la scelta sia necessitata dalla condizione di uno o entrambi i coniugi (precedente divorzio). Occorrerebbe anche tenere conto della “recidiva” ossia il ripetersi di matrimoni civili in capo alla stessa persona. Non so se sia una statistica ricavabile dai dati esistenti, ma dal punto di vista “antropologico” cambia qualcosa.
Cordialmente.
Battista Cavassi
Grazie mille del commento e della precisazione: per essere più precisi i primi matrimoni con rito civile negli ultimi anni sono in media il 60%, invece, aggiungendo al computo totale i successivi, cioè quelli dopo separazioni e divorzi, la percentuale chiaramente sale, nello specifico intorno al 70% circa. I matrimoni successivi al primo alterano sicuramente i dati ma non smentiscono la tendenza a praticare il matrimonio religioso piuttosto che quello civile anche da parte di chi si sposa per la prima volta.